Autore e foto: Andrea Amici

Tempo di lettura: 15 minuti

Introduzione

Se la maggior parte delle piante necessita di un substrato organico per avere a disposizione sostanze nutritive, le piante carnivore non ne hanno bisogno ed è proprio per questo che, di solito, si utilizza la torba acida: un basso pH, infatti, inibisce il proliferare dei batteri decompositori che, degradando la materia organica, la rendono disponibile sotto forma di sostanze nutritive. Questo pH, però, può venire alterato per le ragioni più svariate, trasformando quello che prima era fondamentalmente inutilizzabile in ricchi nutrienti che possono diventare “pericolosi” per molte delle nostre piante. L’innalzamento del pH è dovuto principalmente alle alte temperature associate al ristagno d’acqua, condizioni che quasi tutte le nostre piante carnivore sperimentano durante le torride estati italiane.

kanuma lapillo
Kanuma lapillo

Negli ultimi anni, osservando la mia collezione, mi sono reso conto che nel periodo estivo molte piante morivano o resistevano a fatica ed ho iniziato quindi a pensare che la causa principale di questa loro sofferenza non fosse l’alta temperatura, bensì il ristagno idrico in un contesto molto caldo: le stesse piante, infatti, tenute senza sottovaso e annaffiate dall’alto, garantendo così un dilavamento dei sali presenti nel terreno, a parità di temperatura, crescevano molto meglio di quelle tenute immerse nell’acqua nel sottovaso. Pensando a tutto questo, mi sono trovato davanti a un puzzle in cui ogni tessera rappresentava una possibile causa di queste crescite stentate e dei molti decessi. Ho iniziato allora a togliere alcuni tasselli per isolare, nel modo più scientifico possibile, le probabili cause dei miei insuccessi.

Idroponica

Per prima cosa ho sperimentato la coltivazione in sola acqua eliminando completamente il substrato: questo mi avrebbe fatto capire se, a parità di temperatura, il vero problema fosse effettivamente l’acqua stagnante. Ho iniziato dunque a coltivare alcune specie su spugna (utilizzata esclusivamente come supporto) direttamente in acqua, quindi in idroponica. Mi sono cimentato con drosere, dionee, sarracenie e, dallo scorso anno, andando contro tutti coloro con cui parlavo o che commentavano i miei post sul web, anche con i cephalotus. 

sabbia quarzo pura
Sabbia quarzo pura

Tutti mi prendevano per “quasi matto”, affermando che Cephalotus soffre il ristagno idrico… ma ho insistito e i risultati dei miei esperimenti mi hanno dato ragione. Ero assolutamente convinto che Cephalotus non potesse morire solo per l’eccesso idrico o comunque per il permanere in acqua, doveva esserci un’altra causa. Qualche coltivatore ha avuto fiducia nella mia intuizione e ha seguito il mio esempio, contribuendo di fatto alla creazione di una casistica numerica significativa a sostegno dei miei risultati. Primo fra tutti voglio ricordare Roberto Venturini che fin da subito ha replicato il mio identico esperimento: cephalotus sorretti da una reticella e con le radici penzolanti dentro bicchierini pieni d’acqua. Questi cephalotus sono proliferati alla grande! Cephalotus così sistemato non ha mostrato segni di sofferenza in nessuna stagione, anzi, è cresciuto e si è moltiplicato senza problemi. Conclusione: la causa dei decessi estivi dei cephalotus non è assolutamente da imputarsi al ristagno idrico!

Substrati inorganici

Da qui è scaturita l’intuizione che potesse essere in realtà la marcescenza della parte organica della torba, che si decomponeva a causa della permanenza in acqua e delle alte temperature estive, a portare al marciume del substrato o a una sua parziale decomposizione e, di conseguenza, a provocare una condizione di sofferenza per i cephalotus. Ho iniziato quindi a sperimentare con diversi substrati inorganici senza tenere in considerazione il valore del Ph: non utilizzando materiale organico, infatti, non si rendeva più necessaria l’inibizione della proliferazione dei batteri decompositori! Ho iniziato così a testare i substrati impiegati per la coltivazione dei bonsai: le argille (akadama, kanuma, kiryuzuna) e le rocce di provenienza vulcanica (pomice, lapillo), ma anche la perlite, già largamente usata per la coltivazione delle carnivore, e miscele tra questi materiali in diverse proporzioni. Akadama, kanuma e kiryuzuna sono argille di origine giapponese: l’akadama ha un pH neutro e viene raccolta in foreste di Cryptomeria (conifera originaria del Giappone che cresce su terreni vulcanici) a una profondità di circa 3 metri; la kanuma si trova nella stessa zona ma ad una profondità maggiore e ha un pH decisamente acido; la kiryuzuna, infine, proviene da aree vulcaniche ricca di zeoliti, e si caratterizza per un pH solo leggermente acido, per una maggiore durezza e per il bel cromatismo. Naturalmente, oltre a cephalotus, si è aggiunta anche un’altra serie di piante carnivore che potevano avere dei problemi in estate, come Darlingtonia, Helimphora e Nephentes. Si dice che queste ultime soffrano il ristagno idrico, ma, secondo la mia diretta esperienza, posso dire che, anche per queste piante, il problema sia un substrato organico ricco di sostanze in decomposizione. Ho coltivato N. coccinea in pura perlite, posizionandola in un sottovaso costantemente pieno di acqua e i risultati sono stati ottimi. Per il cephalotus i primi buoni risultati li ho ottenuti coltivandolo in sola sabbia pura di quarzo (marca Askoll, tipologia Aurum); ho posto delle piccole porzioni di radice prive di foglie e trappole in bicchierini pieni di sabbia, a mo’ di vasetto, tenuti con acqua nel sottovaso, e, nel giro di tre mesi, sono letteralmente esplose, iniziando a vegetare in modo vigoroso. 

Substrati inorganiciPura sabbia

Esposizione

Per quanto riguarda l’esposizione non ho da dire niente di particolare, questa può essere varia dato che Cephalotus si adatta benissimo sia a mezz’ombra che a sole pieno, a seconda che si desideri una pianta più o meno colorata. Ho fatto poi altre prove sia in akadama che in kanuma pura, ma, dopo aver sperimentato anche diverse miscele, sono giunto alla conclusione che i risultati migliori si ottengono aggiungendo anche del lapillo che, evidentemente, contiene microelementi e minerali a lento rilascio utili alle piante: per fare un esempio, all’inizio della scorsa estate ho provato a rinvasare dei Cephalotus in condizioni pietose in sola kiryuzuna e lapillo mantenendoli poi in casa in condizioni stabili sotto luce artificiale con acqua costante nel sottovaso. Sono esplosi di bellezza! Ma, come precedentemente accennato quando si parlava dell’esposizione, anche quelli che ho tenuto all’aperto godono di ottima salute!

Mix ottimale per Cephalotus

L’esperienza mi fa pensare che un mix ottimale possa essere composto dal 5-10 % di lapillo miscelato con akadama, kanuma, kiryuzuna. Volendo, si potrebbe aggiungere anche un po’ di perlite per avere una maggiore areazione del terreno e per tagliare un po’ i costi (le argille menzionate sono abbastanza costose). Per quanto riguarda invece la granulometria da utilizzare per il lapillo e le argille si deve sempre tener conto delle dimensioni della pianta: piante piccole coltivate in substrati a granulometria grossa potrebbero soffrire a livello radicale a causa dei possibili vuoti d’aria che si potrebbero formare nel terreno, senza considerare che esteticamente l’effetto non sarebbe dei migliori. È quindi preferibile una granulometria media. 

kanuma perlite lapillo
Kanuma perlite lapillo

Lo scorso ottobre, in occasione del Meeting AIPC a Bagnacavallo, ho tenuto un workshop dove ho spiegato come procedere ai rinvasi utilizzando i substrati inorganici per Cephalotus, Heliamphora e Sarracenia. Queste ultime non hanno grandi problemi neppure nei tradizionali substrati, quindi, in questo caso, tenendo anche in considerazione l’elevato costo delle argille giapponesi, sconsiglierei il loro utilizzo. Durante il workshop abbiamo rinvasato delle piante di alcuni coltivatori che, in questo periodo, mi stanno inviando diverse foto per mostrarmi come stiano crescendo bene! 

In natura

Penso che in natura le piante non siano soggette a questa “intossicazione” da sostanze organiche del substrato grazie al dilavamento del terreno dovuto all’azione delle acque meteoriche o delle seppur tenui correnti presenti nei terreni allagati dove vivono alcune specie. In coltivazione, invece, tutti i nutrienti derivanti dalla decomposizione del materiale organico permangono nel terreno e, depositandosi nei sottovasi, arricchiscono di azoto l’acqua stagnante, favorendo la proliferazione delle alghe. Se si utilizzano substrati inorganici, invece, in assenza di decomposizione organica e, quindi, non essendoci più azoto disponibile, le alghe sono totalmente assenti.

Zeolite lapillo akadama

Conclusioni

Sarà necessario ancora diverso tempo e lo studio di casistiche decisamente più ampie sia a livello numerico che di specie. L’utilizzo di substrati inorganici (attenzione: non inerti!) sta comunque aprendo la strada a frontiere inaspettate e rivoluzionarie che potrebbero rivelarsi d’aiuto nella coltivazione di molte di quelle piante ritenute rognose e “lunatiche”. E questo è tutto. Mi chiedo però… ma perché non ci ho pensato prima?

Un commento

  1. Grazie Andrea.
    Batteri ce ne saranno di sicuro lo stesso, ma non saranno quelli responsabili della marcescenza e putrefazione.
    Le argille, la zeolite, favoriscono l’ancoraggio di batteri ‘buoni’, quelli più aerobi. E sopratutto sono favoriti dagli interspazi delle materie usate: c’è molta più areazione. Penso sia questo essenziale. Aria!

    Grazie Andrea.
    Anna.

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