Drosera cistiflora "Salmon flower" [Moedverloor, Republic of South Africa]

Autore e foto: Maurizio Saroldi

Tempo di lettura: 8 minuti

Drosera cistiflora

Descritta per la prima volta nel 1760, Drosera cistiflora è ampiamente distribuita nell’area del Capo Occidentale, in Sud Africa. Il suo nome deriva dal latino cistus, cisto, e floris, fiore, in riferimento ai suoi grandi fiori che ricordano quelli del cisto, arbusto dai fiori bianchi o rosa ampiamente diffuso nell’area mediterranea.

Sono rimasto affascinato dai grandi fiori di Drosera cistiflora diversi anni fa, e sono sempre alla ricerca di forme con fiori di colori diversi, ma ad oggi sono riuscito a coltivare solo quelle a fiori bianchi, viola e rosa.

È una tra le specie sudafricane a crescita invernale. Cresce su suoli sabbioso/argillosi, secchi durante le estati siccitose, a cui sopravvive perdendo la parte aerea e formando delle radici carnose da cui rispunterà all’arrivo delle prime piogge autunnali. Vegeta dall’autunno alla primavera inoltrata, tollerando in inverno anche temperature prossime, o poco sotto, allo zero. Quando emerge dal riposo estivo, forma una rosetta con foglie appressate al suolo o semierette, larga fino a 6 cm, dalla quale emergerà un fusto eretto, alto da 10 a 40 cm e più, con diverse foglie, fino a una ventina, e al cui apice si svilupperà una unica infiorescenza che porterà da 1 a 6 fiori, molto grandi e vistosi, con un diametro fino a 5 cm!

Caratteristica peculiare di questa specie è l’estrema variabilità nel colore dei fiori che possono essere bianchi, rossi, rosa, viola e di altre tonalità intermedie. È molto variabile anche per quanto riguarda altezza del fusto, dimensioni e forma delle foglie.

Coltivazione

Per la coltivazione valgono le stesse considerazioni fatte per Drosera coccipetala di cui ho già parlato su un altro articolo del Diflora Journal.

Riassumendo:

Substrato:

50% circa di torba acida, parte restante tra sabbia silicea e un po’ di lapillo. Ultimamente si sta diffondendo l’utilizzo di argille, da tempo note nel mondo dei bonsaisti, come akadama, kanuma, kiryuzuna. Negli ultimi substrati che ho utilizzato ho provato a mettere una buona percentuale di akadama… vediamo come andrà.

Annaffiature:

Graduali al termine del riposo estivo, dall’alto, a partire da fine settembre, meglio all’inizio non lasciare acqua nel sottovaso (ovviamente acqua piovana o demineralizzata). Appena la pianta spunta, lascio un dito di acqua nel sottovaso. Bene utilizzare vasi alti, perlomeno per le piante adulte, perché le radici possono essere molto lunghe. La pianta vegeterà fino a primavera inoltrata. Quando si nota che la parte aerea inizia a seccarsi si toglie l’acqua dal sottovaso e si diradano sempre più le annaffiature, fino ad interromperle del tutto quando la parte aerea è completamente seccata.

Ricovero in estate:

in estate ricovero i vasi all’ombra, in un garage, e fino a fine settembre non do neppure un goccio d’acqua (volendo, se vi sentite più tranquilli, potete spruzzare un po’ di acqua sulla superficie una volta ogni 2-3 settimane, ma non esagerate).

Vegetazione invernale:

Come già detto, nel periodo vegetativo tengo un dito di acqua nel sottovaso. Posizionate le piante all’aperto, dove possano prendere almeno qualche ora di sole e riparatele quando le temperature diventano troppo rigide. Ricordo che comunque non ci sono problemi per temperature anche intorno allo zero; solo nelle giornate con temperature decisamente sotto lo zero le chiudo in una serretta dove, nelle notti più rigide, accendo un piccolo cero, di quelli rossi da cimitero.

Moltiplicazion:

Da seme (si dice che alcuni cloni non siano autofertili, nella mia esperienza lo sono, magari non sono autoimpollinanti, quindi procedete con l’impollinazione manuale). Seminate intorno a fine settembre, trattate i semi con acido giberellico o con il fumo (non mi pare ci siano grosse differenze nella germinazione di semi con i due diversi trattamenti, forse quelli trattati col giberellico germinano un po’ prima, tutto qua. La percentuale di germinazione comunque non è molto alta); per talea di foglia (meglio le foglie dalla rosetta basale, da staccare il prima possibile, all’inizio della stagione vegetativa, per dare il tempo alle piccole plantule che si svilupperanno di crescere a sufficienza per formare radici di dimensioni adeguate prima del riposo estivo).

Su AIPC Magazine, la rivista dell’Associazione Italiana Piante Carnivore, sono stati pubblicati negli anni vari articoli su questa meravigliosa specie che consiglio, per chi è socio, di leggere; chi non lo è può cogliere l’occasione per iscriversi all’Associazione. In particolare, vi segnalo:

N. 9 del 2008: Riassunto delle drosere native del Sudafrica di Robert Gibson e Piante carnivore dell’Africa di Barry Rice.

N. 10 del 2008: Quattro drosere caulescenti dall’Africa di Gabriele Basso, Chiara di Biase e Maurizio Saroldi.

N. 23 del 2011: Germinazione dei semi di drosere a crescita invernale di Dieter Kadereit.

N. 37 del 2015: Drosera regia, e non solo, a Bain’s Kloof di Christian Dietz.

N. 75 del 2024: Affascinanti drosere del Sudafrica di Nigel-Hewitt Cooper.