Autore: Giuseppe Milanato Foto: Luca Parolin

Tempo di lettura: 6 minuti

Dionaea Muscipula “Made in Diflora”

Dionaea muscipula, conosciuta anche come Venere acchiappamosche, è una delle piante carnivore più iconiche e una delle più amate anche da noi di Diflora. Non solo è la prima specie che abbiamo ibridato ma rappresenta anche un campo di ricerca straordinariamente stimolante. E’ una singola specie ma ha numerose forme fenotipiche (visive) diverse: ciò ci ha permette di ottenere sempre piante con caratteristiche sorprendenti. In questo articolo, approfondiremo le specifiche tecniche di ibridazione e coltivazione, portandoti nel cuore del nostro lavoro.

Perché Dionaea muscipula è la pianta ideale per l’ibridazione e la semina in vitro?

Dionaea muscipula possiede diverse qualità che la rendono un soggetto eccezionale per creare nuovi ibridi:

  • Frequenza delle mutazioni spontanee: Esistono già numerose mutazioni genetiche naturali in Dionaea muscipula, un segnale della sua predisposizione a modifiche del DNA. Questa caratteristica intrinseca apre la strada a nuove combinazioni.
  • Fioritura abbondante e impollinazione agevole: Dionaea produce numerosi fiori, e il processo di impollinazione manuale è relativamente semplice. Questa facilità operativa è un vantaggio significativo per la creazione di nuovi incroci.
  • Vantaggi della propagazione in vitro: Inizialmente, la tecnica in vitro era impiegata principalmente per la propagazione massiva di piante esistenti per via tissutale. Con il tempo, si è compreso il suo potenziale per accelerare i processi di crescita da seme e la successiva clonazione, accelerando notevolmente il processo di selezione.

Dallo zigote alla provetta

Il viaggio di una nuova varietà di Dionaea inizia con l’impollinazione manuale. Selezioniamo accuratamente i genitori, spesso eseguendo incroci in entrambe le direzioni (una pianta come madre e l’altra come padre, e viceversa) per massimizzare le possibilità di successo e poter poi scegliere quelle con la maggiore fertilità. 

Generalmente, si predilige la pianta con il fenotipo desiderato come madre per minimizzare i rischi di contaminazione da pollini maschili, sia della pianta stessa (essendo monoica) che “esterni”.

Il polline, depositato sullo stigma del fiore, germina e forma il tubetto pollinico. Quest’ultimo si muove grazie a segnali chimici (molecole proteiche) all’interno dei tessuti fino a raggiungere l’ovario. Una volta giunto all’ovulo, si fonde, dando origine allo zigote. Lo zigote, diploide (contenente il corredo cromosomico completo di “madre” e “padre”) si trasforma in embrione. Accumula amido e sostanze di riserva, quindi matura entrando in dormienza all’interno dei tegumenti (“gusci”), avviando un processo di disidratazione e formando il seme. Una vera e propria “capsula” in dormienza, contenente i cotiledoni (due foglie primarie) e le sostanze nutritive essenziali.

Dal “frutto”, ovvero l’ovario ingrossato, i semi così ottenuti vengono prelevati e sottoposti al rigoroso processo di sterilizzazione, stratificazione a freddo e propagazione in vitro che abbiamo dettagliato QUI nel nostro precedente articolo.

Una volta che il rizoma della pianta principale è grande a sufficienza essa viene trasferita in un mezzo arricchito con citochinine, ormoni che stimolano la crescita e la formazione di nuove piantine a partire da cellule meristematiche delle gemme ascellari, ovvero cloni identici. Il processo di propagazione in vitro genera un numero esponenziale di nuove piante teoricamente identiche.

La propagazione di Dionaea muscipula in vitro, fatta presso i nostri laboratori, non è nient’altro che una propagazione per divisione di rizomi “accelerata”, cioè il numero di piante prodotto (grazie all’uso di ormoni e alla presenza di zucchero nel terreno) è maggiore di quanto accadrebbe  normalmente in un comune vaso! Tuttavia è un processo molto stabile: prevede la generazione di nuovi punti di crescita a partire dal rizoma e da cellula che sono già parzialmente “meristematcihe” (cioè predisposte a dare origine a nuove piante). Propagazione tradizionale per talea di foglia o di scapo floreale, per esempio, è molto più stressante per la pianta: in seguito a “taglio” o “rottura” dei tessuti essa induce una risposta tale da stimolare la regressione di alcune cellule da somatiche a meristematiche. Questo processo complesso ha una probabilità di generare mutazioni molto maggiore rispetto alla propagazione per divisione di rizoma!

N.B. vedremo dei test interessantissimi nel prossimo futuro, condotti in collaborazione con l’università di Padova, che hanno evidenziato questi risultati! 

Dove sta la differenza quindi? Sta nei numeri!!

Se con i metodi tradizionali si generano non più di 3-4 piantine per foglia/scapo con la propagazione in vitro si possono generare migliaia di piante a partire da un piccolo espianto! La probabilità maggiore di ottenere mutazioni si ha quindi con i metodi più comuni (come la talea) tuttavia c’è la convinzione che il vitro di per sé porti mutazioni “a priori” o addirittura a mutazioni “speciali”, dovuti cioè proprio al tipo di propagazione in laboratorio. Non è così: questa convinzione è, per la maggior parte dei casi, non vera (fatta eccezione per chi decide di usare volontariamente mutageni chimici o fisici, cosa che noi non facciamo). Semplicemente, per via dei numeri enormi prodotti, grazie al vitro portiamo SI alla luce un maggior numero di piante mutate ma NON con più frequenza rispetto alle tecniche tradizionali usate.

Dal laboratorio al mondo esterno

Alla fine del processo di replicazione si passa ad una delle fasi più delicate di tutto il processo: l’ambientamento delle piantine. Con ambientamento intendiamo il loro trasferimento dall’ambiente controllato del laboratorio a quello esterno in cui devono far fronte alle insidie della vita reale. Le piante cresciute in vitro sono abituate a un ambiente eterotrofo (in quanto assorbono nutrienti direttamente dal terreno senza la necessità di eseguire la fotosintesi) con umidità quasi al 100%, bassa anidride carbonica e luce costante. Per questo le piante cresciute in vitro hanno stomi con una funzionalità ridotta, ciò le rende incapaci di regolare la traspirazione in un ambiente normale e si disidraterebbero rapidamente.

Per questo motivo, le piantine vengono gradualmente esposte a condizioni di umidità leggermente inferiori (circa 80%) in una stanza umida. Durante questa fase, le piante “aggiustano” i loro stomi (piccoli pori sulle foglie che permettono l’assorbimento di acqua dal terreno attraverso l’evapotraspirazione) e producono nuove foglie più adatte all’ambiente esterno. Questo processo può durare 3-4 mesi.

È proprio in questa fase che la pianta “matura”, passa da “fenotipo da vitro” a un “fenotipo naturale”, producendo foglie nuove più adatte all’ambiente esterno e iniziando a manifestare i suoi caratteri distintivi. Le dionee, inizialmente abbastanza scolorite e poco distinguibili in vitro (tranne alcuni casi), cominciano a sviluppare le loro colorazioni (dal verde al rosso intenso) e altre caratteristiche particolari come la forma delle trappole, dei piccioli e dei denti.

Se la pianta soddisfa i criteri estetici e di vigore desiderati, si procede con la selezione e la commercializzazione. Generalmente, in un “lotto” di semi derivanti dallo stesso incrocio, se più selezioni mostrano caratteristiche simili, manteniamo una sola variante.  

L’intero processo, dall’impollinazione alla sua disponibilità per la commercializzazione, richiede più di 24 mesi. È un lavoro di pazienza e dedizione che ci permette di presentare al pubblico esemplari di Dionaea con caratteristiche inedite, frutto di una ricerca mirata e di una grande esperienza maturata negli anni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *